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Allarme Coldiretti: 2 pizze su 3 non italiane

In un mondo globalizzato non possiamo aspettarci che tutto venga dall’orto del vicino, dalla terra della propria regione, e persino sarebbe ingenuo pensare che tutto possa provenire dall’Italia. In taluni casi l’importazione è una realtà “storica” (pensiamo alle farine il cui grano è mixato da immemorabile tempo con grani di altri paesi, fra tutti ricordiamo, giusto per fare un esempio, la Manitoba).

In molti casi però l’uso di prodotti esteri non è storica, né viene giustificata da un criterio di qualità. Anzi, al contrario, molti ingredienti esteri finiscono a tavola o nella cucina del ristorare perché “a poco prezzo”.

In questo caso l’uso di certi prodotti nella ristorazione sfiora l’inaccettabile:

(1) perché ci sono ingredienti la cui produzione italiana basterebbe per la nostra cucina, senza scomodare l’estero,

(2) soprattutto perché ci sono casi in cui i nostri prodotti sono di qualità superiore, e omaggiano il palato, la salute e il buon food tricolore.

Quando sentiamo dalla Coldiretti che ben due pizze su tre non sono italiane, storciamo il naso, sperando che Coldiretti sbagli i suoi pizzaiolo.jpgconti. Secondo i dossier la pizza italiana in due casi su tre è fatta con “(…) pomodoro, mozzarelle e olio provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori”.

Se possiamo auspicare che sulla pizza ci sia un bell’extravergine pugliese o toscano, possiamo comunque anche immaginare che un olio spagnolo, se extravergine, possa avere il suo perché in pizzeria; quello che non possiamo né vogliamo immaginare, però, è che in pizzeria si usi un olio di oliva o di semi o di sansa sulla pizza! Né comprendiamo come possa finirci sopra qualcosa che non sia la mozzarella, né capiamo bene perché non si trovino pomodori italiani per fare la salsa per una Margherita.

I dati di Coldiretti, a ben vedere, suonano come pesantissime accuse anche verso parte della classe ristorativa che dovrebbe riflettere se risparmiare sulle materie prime sia il vero strumento per abbassare i costi, mortificando un prodotto che in tanti, con grandi sforzi, cercano di tutelare e valorizzare.

Secondo Coldiretti “in Italia, sempre più spesso nelle pizzerie viene servito un prodotto preparato con mozzarelle ottenute non dal latte, ma da semilavorati industriali, le cosiddette cagliate, provenienti dall`est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo o addirittura olio di semi al posto dell`extravergine italiano”.

Mentre chi fa la “pizza italiana” è sotto accusa, chi fa pasta rivoluziona la sua immagine: dal Dossier Coldiretti sembra essere in atto  “una rivoluzione storica per la pasta con la produzione di quella fatta di grano italiano al 100%, iniziata ed esplosa proprio negli anni della crisi”.

Mangiare italiano non è solo una questione di garanzia e qualità di prodotto, ma è anche una questione economica: il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo ricorda, infatti, che “la produzione nazionale degli ingredienti e la sua lavorazione esclusivamente in Italia consente di salvare dall’abbandono interi territori situati in aree difficili nel sud del Paese, ma anche di garantire occupazione e reddito ad agricoltori e lavoratori in un momento di crisi”. Coldiretti lancia l’allarme anche su un altro prodotto artigianale per eccellenza, il pane: “si assiste all’arrivo di milioni di chilogrammi di impasti semicotti, con una durata di 24 mesi, grazie ad additivi e conservanti, provenienti dall’est europeo”.


29/05/2014

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